Trionfo presente nel dramma 'L'ombra dell'attore'
di Gloria Deandrea

 

 

Scena mL
monologo sulla Libertà - parte I
Libera Civitas, o Liber populus, stato, città o popolo indipendente, autonomo.
(Attore e sua Ombra in teatro)

La parola senza nome,

non v’è dato di sapere,
quale causa: il dovere,
in quell’animo o ragione,
ha emesso con intenzione.
Designando gentilmente
una parola solamente,
per di più immaginaria,
forza rivoluzionaria,
che di vita è sorgente.

Non poté trovare fine
o principio della rosa
né capir, in fondo, cosa,
passando oltre confine,
alle genti fu incline.
Certo, ebbe mutamento,
rinnovato ardimento,
il gran ritaglio di città
che abbracciò, con facoltà,
il sogno di cambiamento.

Lui la vide e la sentì
prese subito coscienza,
le strutture: arte, scienza,
il sapere, tutto unì;
con la fede poi rapì
anche l’ultimo ribelle
indossando le ali belle,
dalle piume d’oratoria,
che portaron nella storia
la parola tra le stelle.

Sopraggiunse con la luce
in quella curiosa città,
avvolta di fragilità,
in cui ognuno produce
la sola forza del duce.
Il corruttibile Stato
incolto, ha ospitato
la parola senza nome
di quell’animo o ragione,
rimanendo senza fiato.

Dichiarò un capo tondo:
‘Che parola complicata!’
‘Espressione depravata!’
Capi quadri là, dal fondo:
‘Un vocabolo immondo!
Nessun mai potrà capire.’
‘Ma i più sapran sentire.’
Disse lui, con trasparenza,
incamminato all’essenza,
dell’uman nostro intuire.

Spinse poi, fino in fondo,
distesamente asserì
l’uom comune apprese sì
dell’origine del mondo
capi contro: quadri, tondo.
A quel punto manifesto
non crollò in qualche gesto,
non scompose un sopracciglio;
ecco che il Gran Consiglio
lo proscrisse dal contesto.

Il silenzio accompagnò
la seduta trepidante
finché l’ultimo passante
il torpore riacquistò,
serio, a terra, ritornò.
Ma con grande ardimento,
rinnovato fondamento,
riportando l’attenzione
alla parola senza nome
diede voce al sentimento.

 


Scena mL
monologo sulla Libertà - parte III
Liberum est, libertà d’azione
(Attore e sua Ombra in teatro)

L’arbitrio è una forza,
una realtà umana,
la folla, una puttana,
se non volge l’attenzione
sul concetto in questione.
Ma degli uomini il giudizio
di pii, empi, qualche tizio
per il maestoso cuore,
piuttosto con le parole,
deve trovare inizio.

Le parole della gente
in nessuna espressione
la parola senza nome
han scalfito lievemente,
vien trattata fedelmente.
La sapienza di chi crede,
nella luce sempre vede;
con gli Dèi, la sua parola,
col Dio solo, ancor vola,
planando in ogni sede.

Verità è perfezione;
non erige a statura
una qualsiasi figura
in qualunque occasione,
in ogni situazione.
Ci son poi molti errori,
che crean danni minori
se nascosti sanno stare,
senza voler sradicare,
dei pensieri, i dolori.

Quel che l’occhio per l’aspetto
per l’animo è la mente;
da ciò, tre volte presente,
in modo chiaro e netto,
della legge è progetto:
natura, opera, fede
in tal genere di sede,
si afferma, con piacere,
che la forza del volere
è più grande di chi crede.

L’animo dell’umanità,
grossolano, istintivo,
volto ai sensi, lascivo,
disposto all’incredulità,
traccia segno d’inciviltà.
Qualcuno in questo gioco
non necessita un poco,
ai misfatti orientato,
alla bestemmia portato,
d’aggiunger olio al fuoco.

Quando gli uomini sono
rivolti ai sentimenti,
per le opere presenti,
nell’occhio c’è abbandono
non vedon più cos’è buono.
Nient’affatto alla luce,
neppure al buio truce.
Quel che sanno è diverso,
ciò che dicono sommerso,
nessun, il bene, produce.

Avviene poi, per paura,
l’enormità del violare,
il costume a peccare,
rivelan doppia natura
schiacciando la voglia pura.
Talvolta è offuscato,
rotto, guasto, ammaccato,
il giudizio della mente
in modo tale che, spente,
le prudenze, è spacciato.

 


Scena mL
monologo sulla Libertà - parte IV
Libero nei movimenti
(Attore e sua Ombra, col cadavere dell’agente, in teatro)

Complesso è separare
il bisogno dalla scelta,
a che prezzo sia divelta,
cosa scegliere di fare
o che cosa sopportare.
Sempre saldi nei giudizi
risultati non propizi,
bensì duri, dolorosi
turpi, sconci, vergognosi,
costretti nasciam dai vizi.

Mentre di virtù, passione,
è slancio esagerato,
all’arbitrio abbracciato,
la parola senza nome
sollecita decisione.
Se con forza, ignoranza
il caso ha padronanza,
l’azione involontaria
progredisce lapidaria,
compiendo gravosa danza.

Le anime d’umanità
dalla vita sufficiente
in questo mondo presente,
agendo con brutalità,
torto e istintività,
entrano senza tutela,
e circospetta cautela,
nei corpi grevi dei bruti
con desideri caduti
nella virtù parallela.

Eccesso, intemperanza
tramandate dagli avi
son piaceri degli schiavi,
delle fiere la sostanza.
Non si ha la padronanza
di miseria, gioia, o più,
ma il vizio e la virtù
da noi soli son causati,
dall’agire precisati,
danno vita a servitù.

In noi chiusa l’intenzione
che la scelta stabilisce
con la pratica sancisce
del mezzo l’affermazione,
carezzando l’emozione.
Separare volontario
dall’atto involontario,
per intendere l’effetto,
di condanna il verdetto
si presenta necessario.

Bene, sempre col volere
così pure il peccato,
insieme han bilanciato
la materia del potere,
che si fonda sul sapere;
per condurre la giustizia,
svolta sempre con perizia,
all’indulgente volontà,
accresciuta d’intensità,
dove regna con dovizia.

L’occhio sano della mente
al buio nulla distingue,
si perde in tante lingue,
la parola tra la gente,
se le luci sono spente.
Altrimenti rischiarato,
lo sguardo appassionato,
la mia strada illuminò
dove la sua si completò
per peggio aver guardato.

 


Scena mL
monologo sulla Libertà
- parte V

Oratio Libera, libertà di linguaggio
(Attore e sua Ombra in teatro)

Pittura = colore
Molti usan il colore
per esporre l’apparenza
di oggetti la parvenza,
di figure il vigore,
così svelano l’amore.
Del ritratto intensità
grazie al segno d’unità,
aggiungendo sfumatura,
punti, linee, tintura,
trae aspetto la verità.

Scultura = forma
Altri danno alla forma
l’attinenza con lo stampo,
prodotta in questo campo
la materia, la sua orma,
tutta l’arte si riforma.
Toglier via dalla struttura
per estrarne la figura
con la sola proporzione,
di plastica coesione,
è un dono di natura.

Poesia = voce
Pochi usano la voce
per dire più di un suono
imitando ciò che sono,
ritmo e gesto veloce;
arte detta sottovoce.
Il carattere formale,
il comporre musicale,
rendon vigore al verso:
ch’esprime il mondo perso,
con licenza lessicale.

La parola senza nome
dai filosofi discussa
sempre dura, ancor bussa
tra la gente, la questione,
non del cielo creazione;
bensì nata dalla terra,
che la forza sempre sferra
giacché affiori verità,
conferma della gravità,
di catene, che sotterra.

Noi siam pochi, siam privati
voi parecchi, ordinari,
noi profani, rozzi, pari,
voi sapienti, accettati,
noi incolti, rifiutati.
Voi più vecchi, del suo nome,
dei primordi: Deucalione1;
noi però abbiam amato
la parola coltivato
elevando la passione.
1Deucalione: figlio di Prometeo, nella mitologia greca era considerato il capostipite del genere umano

Esiste una gran forza
all’arbitrio assegnata,
con un metro ordinata,
si precisa giocoforza.
Quale sia la dura scorza,
cosa compie, o concreta,
cos’accade al poeta,
il natio, all’occasione,
deve pur avere nome,
spingendosi alla meta.

Non possiam uomo chiamare
qui nel regno della sorte,
tra peccato, colpa, morte,
se poi l’uomo non sa fare,
alla civiltà portare.
Con arbitrio e volontà,
contro ogni ostilità,
la parola senza nome
ebbe alta soluzione;
volle chiamarsi libertà.

 

La décima o quintilla doblas, o espinella, in onore del poeta, romanziere e musicista, Vicente Espinel che, a fine XVI secolo, ne concepì la struttura, è una strofa composta da dieci ottonari, con rima in ABBAACCDDC. Può avere un punto fermo o i due punti dopo il quarto verso, ma non oltre il quinto. Può, inoltre, essere intesa come una strofa formata da due redondillas (periodi di quattro versi ciascuna), con rima in ABBA e CDDC, unite da un distico centrale cerniera AC. Durante i secoli XVII e XVIII si usò con frequenza per la realizzazione dei poemi. Inoltre, fu particolarmente adatta per il teatro; a tal riguardo, il drammaturgo Félix Lope de Vega, nel suo ‘Arte nuevo de hacer comedias’ (1609), scrisse che ‘le décime sono buone per fare denuncia’. Tale struttura, infatti, si presenta con ritmo sostenuto, particolarmente incalzante, più musicale che poetico, grazie alla divisione doppia in cinque versi, e alla specularità delle rime introdotte nella strofa. Questo metro, è stato utilizzato dai poeti della Generazione del 27, quali Jorge Guillén, Gerardo Diego, Federico Garcìa Lorca, e molti altri autori e drammaturghi. È tuttora diffuso in America Latina tra i payadores, poeti popolari che improvvisano recitando in rima, accompagnati da una chitarra. Inoltre, la cantautrice cilena Violeta Parra, compose in dècima la sua autobiografia.

 

Il trionfo è una forma specifica di scrittura, il più delle volte non soggetta a versificazione, di matrice carnascialesca. Si sviluppa in epoca medioevale, all'interno di un periodo dell'anno specifico, quello del carnevale, con lo scopo di raccontare vicende realmente accadute, integrate a figure allegoriche, proponendo al narratore la formulazione di una critica cruda, alle volte grottesca, della società del tempo. Nel medioevo, i trionfi venivano solitamente composti in volgare da popolani, conoscitori della trasposizione da lingua parlata a lingua scritta. Nonostante esistano documenti storici che riportano esempi di trionfi dotti, quindi sottoposti alle regole di versificazione, e composti da letterati illustri, uno per tutti Niccolò Machiavelli (che però si può considerare un uomo del rinascimento fiorentino), i trionfi in genere presentano una struttura compositiva libera.