Pensieri in libertà
di Tania Peplis

 

 

Il poeta Giosuè Carducci, posa per una fotografia 'ritratto' del tempo (XIX-XX secolo).

 

Nell'era cibernetica e computerizzata della correzione automatica e del copia-incolla, l'uso della parola è cosa alla quale non siamo ormai più avvezzi. Questi stessi appunti sono su foglio elettronico, un mondo sul  quale navigo non attraverso il segno-matita, ma attraverso il ticchettio di tasti nero-bianchi.
L'uso della lingua e la comprensione del significato di singoli vocaboli è impresa assai ardua tra studiosi di tutte le età. Dal giovane delle scuole, all'uomo di mezza età, al vecchio pur sempre curioso, l'approccio con la parola è quello di certo più complesso e difficile. Eppure non dovrebbe affatto essere così.
Noi esseri umani abbiamo questo strumento di comunicazione, la parola appunto, e nel passare dei secoli a lei ci si è affidati per lasciare ogni forma di messaggio, insieme a quell'altro mondo assai particolare e umano che è l'arte.
Avvicinarsi al corretto uso della parola è esercizio lungo e complicato, e spesso passa attraverso la conoscenza di chi, la parola l'ha usata e la usa meglio di noi: il saggista, lo scrittore, il poeta.
Quanto all'uso artistico della parola valga questa mia personale e sicuramente discutibile riflessione, in particolare sull'uso della poesia, mia pratica quotidiana, e sul significato che dovremmo ridare al verbo (inteso alla latina, ossia parola)
Se la parola è quanto fa la differenza uomo-bestia, la poesia o meglio la combinazione giocosa di suoni-parole-colori, fa la differenza tra la normalità grigia della massa che pensa di essere eccezionale e l'eccezionalità d'albatro (baudelariamente parlando) di chi possiede una sensibilità altra.
Non è possibile dimenticare che l'arte e in particolare quella della parola, nasce come indispensabile e inevitabile voce degli eventi che hanno caratterizzato i percorsi dell'umanità.
Da sempre controcanto dell'emozione e della ragione, la parola e la poesia hanno scandito i tempi e ci ricordano che in fondo da sempre cerchiamo la combinazione perfetta per farci capire o per nasconderci.
Ecco perché l'arte della parola spesso si accomuna, si fonde, si contrappone all'immagine e si accompagna al gesto. Ecco che entriamo in scena: noi, immagini, gesti, suoni. Verbale e non verbale, gesto e stasi, connubio perfetto. Il parolibero gioco di noi esseri umani, passa assolutamente attraverso la verbalità spesso graficamente urlata (ne è un esempio il futuristico gioco onomatopeico).
Spesso però della parola facciamo uso gratuito e ne svuotiamo il senso primo: comunicare.
Un tempo alla poesia era assegnato il ruolo fondamentale, quello educativo. Attraverso la declamazione dei versi si imparavano a comprendere moralità e valori civili; si meditava sull'effetto dei sentimenti e si difendevano le proprie idee. Con la poesia si lasciava agli altri il segno di sé, del proprio passaggio sulla terra, il solco segnato dal dolore.
Oggi la parola è soprattutto sparlata, ricombinata in mille forme che sono mere scatole cinesi. Dovremmo forse tornare al contenuto autentico e forte che la parola ci ha insegnato con la poesia, passando anche attraverso la spremitura e l'ossificazione di chi come Montale, pensava "non chiederci la parola", "non domandarci la formula che mondi possa aprirti, /sì qualche storta sillaba e secca come un ramo", come rami che pascolianamente  'di nere trame segnano il sereno', ma che come lampi, sinesteticamente, profumatamente, ci 'illuminano d'immenso'.