Pittura su tela
di Gloria Deandrea

 

 

Venezia… giace ancora dinnanzi ai nostri sguardi come era nel periodo finale della sua decadenza: un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all'infuori della sua bellezza, che qualche volta quando ammiriamo il suo languido riflesso nella laguna, rimaniamo incerti quale sia la città e quale l'ombra.
John Ruskin, Le pietre di Venezia, Bur, Milano, 1990
La dicitura 'le Pietre di Venezia', prelevata dall'omonimo testo di John Ruskin, pone in evidenza il valore dei dettagli architettonici, che hanno dato rilievo ad alcuni tra i palazzi storici veneziani più significativi della città lagunare.

 

  

  

 

Palazzo Grimani
Tra le altre strade, che presero il nome della famiglia Grimani, non possiamo tacere del Ramo Grimani a Santa Maria Formosa, perché conduce ad altro grandioso palazzo, fondato, come vuolsi, da Giovanni Grimani, patriarca d'Aquileja nel 1545, e celebre specialmente per la statua d'Agrippa, che si conservava nell'atrio, qui recata dal Panteon di Roma. È curioso l'aneddoto che si racconta intorno a questo colosso. I Grimani negli ultimi tempi della Repubblica avevano deliberato d'alienarlo, allettati da generosa profferta d'oltre Alpe, venuta, e più non mancava che spedirlo fuori di Venezia. Già la barca è approdata, già barcajuoli e famigli s'accingono all'opera. Quand'ecco appare nella corte, in vesta d'uffizio, Cristofolo Cristofoli, fante degli Inquisitori di Stato, che dice agli astanti, meravigliati della sua venuta: Son qua da parte della Serenissima per augurarghe bon viazo a Sior Marco Agripa prima che el parta. Riportato ai Grimani l'avvenuto, essi capirono il gergo, e temendo d'incorrere nello sdegno del governo, ed arrossendo forse di essere cagione che le nostre artistiche glorie passassero in mano degli stranieri, comandarono tosto che la statua rimanesse al suo posto, né più diedero corso al contratto. A rimuovere un consimile pericolo pell'avvenire, il conte Michele Grimani, ultimo di questa linea, ingiunse, con testamento 24 aprile 1862, ai propri eredi di offrire la statua medesima in dono al comune di Venezia. Il Grimani morì nel 1864, e la statua venne trasportata al Civico Museo il 29 marzo 1876. La statua è ora nel cortile del Museo Archeologico.
Giuseppe Tassini, Curiosità Veneziane, ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia, Filippi Editore, Venezia, 1990

 

La tribuna di Palazzo Grimani
Fu il Patriarca di Aquileia Giovanni Grimani a restaurare nel 1558 il palazzo della famiglia che il Doge Antonio aveva fatto costruire a Santa Maria Formosa. I suoi interventi architettonici trasformarono il classico palazzo veneziano in un moderno esempio di casa della cultura. Soprattutto, Giovanni volle che la sua collezione di capolavori dell’arte antica (una delle più importanti d’Europa per l’alto numero di originali greci), avesse una collocazione scenografica. Nacque così la mitica Tribuna di Palazzo Grimani, un tempo nota come Antiquarium, illuminata dall’alto e ispirata al Pantheon di Roma. Una ‘stanza delle meraviglie’, una lussuosissima casa per le statue antiche più preziose della collezione. Ma quello splendore durò poco perché Giovanni, per salvare la collezione dalla possibile dispersione, la donò alla città di Venezia, e alla sua morte tutte le opere furono trasferite alla Biblioteca Marciana. La scultura che rappresenta il Ratto di Ganimede, appesa al centro della sala, fu la sola opera ad essere ricollocata nella sua posizione originaria dopo il recente restauro del Palazzo, in seguito al suo acquisto nel 1981 da parte dello Stato, e sola è rimasta fino a oggi. Perché il restauro del Museo statuario della Marciana ha offerto l’occasione per trasferire temporaneamente le opre a Palazzo Grimani, e ricostruire quindi la sua splendida scenografia cinquecentesca.
Domus Grimani: 1594 – 2019. La collezione di sculture classiche a palazzo dopo quattro secoli, a cura di Daniele Ferrara e Toto Bergamo Rossi, catalogo Marsilio

 

 

Ratto di Ganimede
Secondo la leggenda più nota Ganimede è figlio del Dardanide Troe e di Calliroe, figlia dello Scamandro; altre versioni lo dicono nato di Laomedonte o d'Ilo o d'Assàraco o d'Erittonio. La più antica forma della leggenda (Iliade, XX, 232 segg.) lo dice il più bello dei mortali e narra che appunto perciò gli dei lo rapirono e lo portarono in cielo perché servisse da coppiere a Zeus ed abitasse sempre con gli eterni. Ben presto però Zeus medesimo rapisce il giovinetto, al cui padre concede come compenso immortali rapidissimi cavalli o un aureo tralcio, opera di Efesto. In antico sembra sia stato un impetuoso vento mandato dagli dei a rapire Ganimede, ma ad un certo punto, dopo Ibico, sottentra l'aquila di Zeus e da ultimo Zeus medesimo in forma d'aquila. Il luogo del ratto è in origine la Troade, dove Ganimede al momento in cui viene rapito sta pascolando le greggi del padre. Ma quando la leggenda di Ganimede va assumendo un carattere erotico (il che avviene abbastanza presto; vedi, tra l'altro, i versi 1345-46 della silloge teognidea) le località variano, e si spostano in paesi ove l'amore per giovanetti fu specialmente fiorente, come Creta e l'Eubea. Varie località appaiono anche nelle spiegazioni razionalistiche della leggenda, che sostituiscono a Zeus come rapitore Tantalo o Minosse. La leggenda che narra di Ganimede come dell'amasio di Zeus, è quella che ha preso più sviluppo nella poesia classica. Vi accennano più o meno largamente ad es. Pindaro nell'Olimpica I, Sofocle nelle Colchidi (fr. 320 N.2), Euripide in luoghi dell'Oreste, dell'Ifigenia in Aulide, molti epigrammi (in qualcuno è anche introdotto il motivo della gelosia di Era), Luciano, Nonno, Ovidio. Alla tarda età ellenistica o alla romana appartiene il catasterismo di Ganimede come hydrochoos (Zeus ha messo Ganimede nel cielo come costellazione dell'Acquario, la quale è strettamente associata con quella dell'Aquila, e da cui deriva il segno zodiacale dell'Aquario).
Enciclopedia Treccani, voce: Ganimede