Poesie
di Tania Peplis

 

 

'Lettera L', stampa serigrafica di Emanuele Luzzati, facente parte dell'opera 'Lettere dell'Alfabeto'.

 

Il volo dell'angelo
In punta di tacco
con roseo rossetto,
dimeno il culetto
come orso,
fuor di letargo.

In punta di tacco,
ahimè volo d'asfalto
e plano dall'alto-tondo
delle mie forme,
in budinoso rimbalzo.

In punta di tacco
che lascio all'asfalto,
con rosso sorriso,
rialzo il culetto
e volo al cerotto.

 


Rosso di sera...
Guardavo lontano
un rosso orizzonte,
promana un odor,
quasi bisonte.

Andava e veniva
non so da dove,
ricerco l'origine
di tal fetore.

Poi di colpo mi accorgo
che l'olezzo malsano
vien da signor
assai poco villano.

Così mi avvicino
e tappando il nasone
lo guardo e gli dico:
"...han inventato il sapone!".

 


Studenti
Non interrogo spesso
ma ahimè il neurone è disperso.
Chiedo del Tasso,

sì,

quello un po' nervosetto
quello vedi, del poemetto.
La Gerusalemme

sì,

la Gerusalemme APERTA.
Lavoro allora di mimo,
mi tocco i capelli,

sì,

gli scapigliati, poeti ribelli
Emilio Praga, Igino-Ugo Tarchetti
come gli amici, i francesi, i maledetti:

Baudelaire, Rimbaud
e il suo amico speciale,
il noto VERNEL.

Con ciclo breve,
a quaranta gradi
ci rivela il segreto,

la tormentata esistenza,
emanando profumi
profumi lontani

come i neuroni,
i neuroni dispersi
tra fogli e concerti

di neologismi.

 


Il topone
Era un giorno perfetto
di luce e calore,
me ne andavo a braccetto
con il mio buonumore.

D'un tratto mi vedo
che avanza sospetta,
sagoma nera
un poco imperfetta.

Si avvicina piano
assai ciondolante
con lunga coda
e un poco ansimante.

Aguzzo la vista
e mi prende la strizza.

Penso allo scherzo
di un qualche ragazzo,
forse ad un vecchio
un poco pazzo.

Ma poi mi avvicino
e di colpo mi accorgo
che non persona
ma pantegana,

avanza soffiando
fuor dalla tana.

Così con terrore,
studio la strada
e fuggo lontano
dalla bestia incontrada.

 


La vecchia insegnante
Porta sul cappello
una piuma d'uccello,
spiumata gallina,
forse patavina.

Porta le scarpe
col tacco
alla veneziana,
quella antica,
del Settecento,
come il suo
intero portamento.

Dice parole in dialetto,
parla dell'arte,
del mistero buffo:

forse si è solo guardata
allo specchio,
che d'incanto si è rotto.

Cammina per strada
in modo sconnesso
e manda effluvi
non di mughetto.

 


La vipera
Si trascina rasente
con occhio fetente,
lingua di serpente,
corpo ormai cadente.

Lancia fugace
rapide occhiate,
sputa veleno
nelle sue chiacchierate.

Ma chi se frega
di tal vecchia strega!

Trascina o tapina
la tua immensa cultura
ma lasciami fuori
dalla tua lordura.

 


L'agguato
D'un balzo felino,
mi tendi l'agguato.

Mi prendi alle spalle,
mi soffi sul collo,
poi monti di scatto
sul povero corpo.

Mi cedon le forze,
si piegan le gambe,
poi rido e ti guardo
pensando allo scherzo.

Ma ahimè non mi avvedo
di quel che è successo,
non più pantalone
ma sbrego funesto.

L'orrido sforzo,
ed il moto violento
al riso si assommano
in un sol momento.

Così me ne vado
distesa per terra
arrendendomi ormai
alla tua guerra.